Gli effetti del Covid-19 sulle procedure di sovraindebitamento omologate

Il Covid -19 ha profondamente colpito il nostro paese non solo sotto il profilo sanitario, ma anche economico.

In questa particolare situazione, si sono esponenzialmente moltiplicati i casi di lavoratori dipendenti che hanno perso il posto di lavoro, o i casi di lavoratori autonomi o piccoli imprenditori che a causa della caduta netta della domanda, hanno perduto tutto o gran parte del loro reddito e dunque non possono più permettersi di versare, alle scadenze stabilite nelle rispettive proposte, una determinata somma a favore dei creditori.

In tutti questi casi, nei quali le persone fisiche o piccoli imprenditori non fallibili, dimostrando il massimo sforzo e volontà di fare fronte alle proprie posizioni di debito, hanno formulato un piano od un accordo poi omologato, si è prospettato l’evidente rischio di non poter più fare fronte ai pagamenti concordati, con la conseguenziale paura di revoca dell’omologa.

In realtà, una prima soluzione viene offerta proprio dalla legge 3/2012.

Il legislatore, in una lungimirante visione delle possibili situazioni nel quale il debitore avrebbe potuto venirsi a trovare, non per sua colpa, durante l’esecuzione del piano omologato, all’art. 13 rubricato “Esecuzione dell’accordo o del piano del consumatore”, al comma 4-ter, prevede che “Quando l’esecuzione dell’accordo o del piano del consumatore diviene impossibile per ragioni non imputabili al debitore, quest’ultimo, con l’ausilio dell’organismo di composizione della crisi, può modificare la proposta e si applicano le disposizioni di cui ai paragrafi 2 e 3 della presente sezione”.

 

Tutela del Debitore

 

In tal senso si è orientato, di recente, il Tribunale di Napoli, con pronunciamento del 16 aprile 2020 (Est. Dott.ssa Livia De Gennaro).

Nello specifico, il debitore, il cui piano era stato omologato circa un anno prima, stava adempiendo regolarmente ai pagamenti previsti, sino al mese di febbraio 2020, salvo poi essere colpito dalla situazione emergenziale causata dalla diffusione del COVID-19. In particolare, il sovraindebitato ha perso il posto di lavoro, divenendo così incapace di proseguire regolarmente l’esecuzione del piano omologato.

Il debitore ha chiesto all’OCC di sospenderne l’esecuzione per un periodo di sei mesi, e l’OCC ha prontamente presentato istanza di sospensione al Giudice della procedura. Spetta infatti al Giudice, in questo caso, valutare la sopravvenuta esistenza di una causa non imputabile al debitore che non renda possibile l’esatto adempimento.

Nel provvedimento assunto, il Tribunale ha evidenziato che, nel nostro ordinamento, il concetto di inadempimento contrattuale, nonché di responsabilità del debitore, devono essere valutati alla luce dell’art. 1218 c.c., che presuppone a carico del debitore una presunzione di colpa ogni volta in cui ci sia un inadempimento. Per vincere questa presunzione, il debitore deve provare che l’inadempimento è dovuto a causa a lui non imputabile. In questo caso, i provvedimenti legislativi assunti nei mesi di marzo e aprile 2020 possono senza dubbio essere considerati come cause di forza maggiore che hanno impedito al debitore di adempiere regolarmente le obbligazioni derivanti dal piano (o dall’accordo) omologato. Del resto, il comma 6-bis dell’art. 3 del D.L. 18 del 17.3.2020 prevede che “Il rispetto delle misure di contenimento di cui al presente decreto è sempre valutata ai fini della esclusione, ai sensi e per gli effetti degli artt. 1218 c.c. e 1223 c.c., della responsabilità del debitore, anche relativamente all’applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati od omessi adempimenti”.

 

Se è pur vero che questa disposizione è stata dettata per disciplinare i contratti pubblici, la Corte partenopea ha ritenuto che il principio enunciato debba trovare applicazione in ogni rapporto contrattuale, indipendentemente dal loro oggetto e dalla loro natura.

Alla luce di detto corretto principio, il Giudice ha ritenuto che la situazione di emergenza epidemiologica e di grave illiquidità del sistema economico italiano, fosse giusta motivazione per accogliere la richiesta di modifica unilaterale del piano (nella fattispecie, concedendo una moratoria di sei mesi) senza coinvolgere i creditori nella relativa decisione. Infatti, nel provvedimento de quo si indica che “la mancata partecipazione del ceto creditorio” è “compensata dal parere espresso dall’OCC”, né “può trovare, invero, prevalenza la disposizione di cui all’art. 14 bis, comma II, lett. B) che riconosce ai creditori di dichiarare cessati gli effetti della omologazione del piano del consumatore”.

«È possibile per il debitore con piano del consumatore o accordo del debitore omologati, chiedere e ottenere la sospensione dei pagamenti previsti per cause a lui non imputabili, senza coinvolgere il ceto creditorio»

Sulla base di tale interpretazione, il Giudice ha accolto l’istanza del debitore, corredata dal parere favorevole dell’OCC.

 

giustizia

 

Pertanto, l’attuale situazione emergenziale dovuta alla pandemia COVID-19, legittima il soggetto che ha visto omologato il proprio accordo del debitore o piano del consumatore, e non fosse più in grado di adempiere, come da proposta, a determinati pagamenti in favore della massa dei creditori concorsuali per causa ad esso non imputabile, a chiedere la sospensione dei pagamenti per un determinato periodo. Secondo il Giudice partenopeo, qualora la modifica richiesta comporti esclusivamente un ritardo nella completa esecuzione della proposta omologata, sia che si tratti di piano del consumatore, sia che si tratti di accordo del debitore, non è necessario coinvolgere il ceto creditorio.

Detto ultimo assunto assume una rilevanza importante nell’ambito delle procedure di accordo.

In queste procedure, come è noto, i creditori sono chiamati ad esprimere il loro consenso o dissenso alla proposta, attraverso il voto. Parimenti, secondo alcuni orientamenti, gli stessi creditori avrebbero avuto diritto a manifestare pari consenso o dissenso a fronte di una richiesta del debitore di sospensione dei pagamenti.

Tuttavia il Giudice ha ritenuto che, una volta espresso il voto favorevole, anche per silenzio assenso, ed omologata la proposta con effetto vincolante, la presenza di una giusta causa non imputabile al debitore ed inerente la temporanea difficoltà di onorare i pagamenti, non incida sulla validità del voto espresso e che ha portato all’omologa, poiché proprio la presenza di questa giusta causa non imputabile al debitore non consentirebbe comunque la revoca dell’omologa, ritenendo pertanto superfluo, alla luce della valutazione dello stesso OCC, il parere dei creditori.

 

Pari principio, trova applicazione anche nelle procedure di liquidazione del patrimonio, seppur in alcuni casi.

In primo luogo, se il bene posto in liquidazione è la prima casa di residenza del debitore, autorizzato dal giudice ad occupare il bene sino alla vendita, così come avviene nelle procedure esecutive immobiliari a seguito dei provvedimento assunto dal governo in vigenza di situazione epidemiologica, la procedura rimane sospesa.

Ancor più interessante il caso in cui una persona fisica, nel formulare la proposta di liquidazione del patrimonio, metta a disposizione dei creditori anche parte del proprio reddito non necessaria al sostentamento proprio e del proprio nucleo familiare.

Si ricorda infatti che, nel caso in cui il soggetto nei confronti del quale la liquidazione è stata aperta sia una persona fisica, il liquidatore nominato nel decreto di apertura deve riferire al Giudice in merito al reddito a disposizione del debitore. In tale istanza, ovvero nel programma di liquidazione predisposto ai sensi dell’art. 14-novies L. 3/2012, il liquidatore propone al Giudice quale potrebbe essere la quota parte del reddito mensile del debitore da lasciare nella disponibilità del sovraindebitato e della sua famiglia e quale sia invece la quota di reddito da mettere a disposizione dei creditori. Nella liquidazione del patrimonio è obbligo del liquidatore di verificare costantemente il reddito del debitore, dando adeguata informativa al Giudice (e, in alcune circostanze, ai creditori) delle sue eventuali variazioni, in aumento o in diminuzione. Nel caso di variazione incrementativa del reddito, il liquidatore dovrà chiedere al Giudice di modificare in aumento la somma mensile (o di diversa cadenza) che il debitore dovrà mettere a disposizione dei creditori; al contrario, in caso di variazione in decremento, occorrerà ridurre detta quota, per garantire al sovraindebitato e alla sua famiglia un decoroso tenore di vita. Nella situazione ipotetica di dipendente che perde il lavoro o di lavoratore autonomo o imprenditore che vede ridotto il proprio reddito a causa della pandemia di Coronavirus, non vi è alcun dubbio che il Giudice, sentito il liquidatore e verificatene le condizioni, stabilirà la riduzione (o, nel peggiore dei casi, l’azzeramento) della quota di reddito appresa periodicamente all’attivo della procedura.

Ciò che si vuole evidenziare e che, sia alla luce della norma, sia a fronte della corretta interpretazione offerta dalla giurisprudenza, l’incidenza negativa che l’attuale situazione pandemiologica ha avuto sull’economia e sul reddito dei cittadini, non può che rilevare anche in ordine alle procedure di sovraindebitamento, nell’ottica di garantire la finalità che la legge 3/2012 si pone, ovvero sia quella di offrire una seconda chance al debitore.

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